Se la cultura diventa commestibile. Misticanza. Con mestica si può indicare la miscela di colori sulla tavolozza del pittore. Dunque mesticare mescolare e dunque mesticanza mescolanza. La tradizione popolare delle campagne laziali ha conservato quest’ usanza antica e stagionale come ha fatto con poche altre. Tarassaco. Cicoria. Papavero. Pimpinella. Crespigno. Raponzolo. Valerianella. Porcacchia. Campi, terrazzi, cigli delle strade, fessure tra i mattoni i loro habitat. Una capacità di adattamento straordinaria e una forza notevole. E l’ uomo odia questa prepotenza. Ma vincono loro, da sempre. Convivendo in una callosa eterogeneità sono state abbandonate dagli usi indispensabili e quotidiani, quasi per una rivincita su di esse. Ma neppure l’ ignorarle e considerarle “erbacce” ha potuto sradicarle dal paesaggio fisico, anzi le ha fatte ancorare al paesaggio culturale ancor più dei “fiori per i giorni speciali”. Una miscela di piante diverse. Cosa in più del semplice minestrone? La loro spontaneità contro ogni ostilità artificiale o naturale, o assieme storica. Ignoranti di recinti o recinzioni, non curanti di sentieri o passaggi, sembrano non morire mai ma rinascere sempre. La non coltura vegetale, quindi materiale, di una cultura tradizionale, quindi immateriale.
martedì 25 maggio 2010
MISTICANZA
Testo scritto in occasione del progetto “Lanscape Joining The Dots” - 16 maggio 2010
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