venerdì 16 aprile 2010

Bocca di Leone


Innaffiavo le piante del mio piccolo balcone. Da poco è stata fatta l’annuale e faticosa potatura e i primi segni della primavera cominciano a vedersi. Improvvisamente mi accorgo che un enorme cespuglio di Bocche di leone ha conquistato il vaso del mio rigoglioso e anzianotto Plumbago.

La Bocca di leone, Antirrhinum Majus, della famiglia delle Scrophulariaceae è una pianta comune e allo stesso tempo molto buffa; la sua particolarità sta nei fiori, tubolari, con due labbra che, premendo il fiore ai lati, si aprono ricordando la bocca di un leone (o in maniera meno didattica quella di un bambino piccolo quando la nonna gli fa fare “pio pio”).

Pronta con le forbici e i guanti da giardino tra le mani ad estirpare questa terribile erbaccia, che si è permessa di usurpare un territorio non suo, mi fermo.
Com’è arrivata qui al quarto piano di un palazzo di una grande città?
Come mai è sorta da sola, naturalmente?
Perché proprio sul Plumbago?

Magari prima di ucciderla vado a cercare su internet se lo sta soffocando…
… […] nel medioevo le ragazze erano solite ornarsi i capelli con questi fiori per rifiutare i corteggiatori non desiderati […] ……



Sicuramente Diego ha cambiato il mio modo di vedere le cose!!!

martedì 13 aprile 2010

prossimo incontro: transiti

Mercoledi' ci troviamo di nuovo, questa volta con un tema mobile:

Passaggi, transiti, direzioni

Noi umani siamo altamenete legati a questi aspetti geografici. In modo simile alle recinzioni, i passaggi delimitano il paesaggio (vedi le autostrade e le ferrovie che dividono aree altrimenti connesse)

Venerdi' tu Sofia e Elettra siete andati al Parco di Veio, per una camminata nella Valle del Sorbo, una valle che ha visto tantissimi viaggianti, la Via Francigena passava di li', tanto che il monastero sorto serviva a foresteria per il grande numero di pellegrini che transitavano.

Le vie di comunicazione cambiano il paesaggio, e questo vorresti come sottotitolo per l'incontro.

Cambiare il paesaggio: Chi? Come? E' la natura sempre inerte a tali cambiamenti? Fino a quanto si puo' leggere le negazioni naturali nei tragitti scelti per attraversarle?

Se prendiamo in cosiderazione le vie di transito come punto di continuo scambio e adattamento, forse possiamo vedere tracce di crescita simbiotica fra societa' e natura, tracce sociali dentro la natura e tracce naturali dentro la societa', forse si comincia ad abbattare il binomio: la natura e' societa' e viceversa.

Interessante notare un paio di cose durante la passeggiata nella valle del sorbo:

I prati, scavati e mantenuti dalle mucche Maremmane, tanto che i cespugli e gli alberi vengono costantemente tenuti a bada dai ruminanti, in una relazione di ridefinizione degli spazi di uno e dell'altro, continua.

Le Cornacchie, che nel prato di basso si affollano numerose. Tale densita' di uccelli opportunisti puo' essere solo mantenuta grazie al costante apporto di cibo da parte di gente che fa' la merenda nei prati. Una relazione di scambio continua, una relazione dettata da appagamento comune e rispetto degli spazi. Se invece che cornacchie gli opportunisti fossero stati ratti si sarebbe scatenata una guerra di territorio.

I pungitopo nani, che nani non sono, anzi, normalissimi cespugli di pungitopo che pero' vengono periodicamente (in primavera) recisi da raccoglitori di turioni. Le nuove branche crescono ma si arrestano alla meta' di dove avrebbero potuto arrivare.


In qualche modo tutte le speci presenti sono il risultato di una lunga e spietata adattazione fra speci.

Il frutto di compromessi.


Come anche le vie di comunicazione, certo, sarebbe bello tracciare una linea dritta all'orizzonte per arrivare alla destinazione, ma spesso il paesaggio costringe a compromessi, ponti, tornanti, giri larghi per evitare una palude o delle salite troppo impervie.


Il paesaggio e' un compromesso?

La natura, noi compresi, e' il fruttto di un compromesso?



Porti qua' un'esempio di un' artista Australiano, che cammina per circa 600 Km nell'arido ecosistema per una ricerca personale di appartenenza al paesaggio, ritracciando il suo passato.
In qualche modo Mark Minchinton cercava di risalire a punti precisi di compromesso, il passaggio generazionale da indigeno a bianco. Articolo (in inglese) qua', di cui citi:

"I want to be claimed. I want to feel the land with my feet, my body. I want the land to be written on my body, even if it’s just pain in my knees."

vorresti anche parlare del lavoro di un gruppo di formiche..

domenica 11 aprile 2010

Nature is art

Allora, volevi postare questo lavoro un paio di settimane fa', quando si parlava di Recinti..
Comunque sia, eccolo qua':

herman de vries, Sanctuarium (1997)

Eseguito in concomitanza con Skulptur Projekte Munster 1997


Herman de Vries erige un santuario sul prato. L'artista pensa al santuario come uno spazio protetto, in cui egli vorrebbe consentire un giardino naturale, un incolto, a crescere. Per il perimetro del suo santuario ha usato i tradizionali materiali da costruzione di Munster: mattoni, coronati con la tipica pietra arenaria locale. Il muro racchiude un cerchio di 14 metri di diametro. Le sue quattro finestre ovali, posizionate a livello degli occhi, permette al visitatore di guardare dentro limitando la partecipazione al processo naturale di crescita che si verifica entro i confini del muro.
Inscritto nella pietra arenaria sulla parte superiore del muro, sopra ciascuna delle quattro aperture, una citazione da "T-Upanishad". Tradotta dice: "Om. Questo è perfetto, quello è perfetto, perfetto
viene da perfetto; togli perfetto dal perfetto e cosa rimane è perfetto."