giovedì 1 aprile 2010

Secondo incontro, recinti



L' altra settimana abbiamo iniziato questo processo di comprensione, dibattito e constatazione del paesaggio da un 'cucuzzolo'.


Da un punto di visto bio-politico ti interessava iniziare questo processo partendo dall'alto.

Ieri abbiamo poi portato l'attenzione ad un'altro aspetto fisico, parte integrale del paesaggio (reale e metaforico) la recinzione.


Con questo tema abbiamo discusso l'idea di proprieta', definizione di proprieta', l'aspetto importante del giardino ( il civilizzato dentro, il selvaggio fuori), la paura dell'indomabile, dell'altro.

Le recinzioni, le staccionate, i muri, sono nati come delimitazione di spazi e determinazione di 'aree sotto controllo'/'safe zones' ('aree sicure'?)


Da un punto di vista psicologico e antropologico l'avvento della recinzione e' stato un passo molto importante per l'umanita' e per come si vive il paesaggio.

Il concetto di recinzione si presume si sia formato a pari passo con la nascita della domesticazione di alcune speci vegetali (frumento e legumi) e di animali, per contenere quest' ultimi e per difendere le coltivazioni da predatori selvatici e umani.
Il processo, iniziato circa 11,000 anni fa', fu' di lento divenire, rimpiazzando pian piano il sostentamento da una raccolta nomadica a societa' agricola sedentaria.

L' avvento del controllo del paesaggio ad uso produttivo cambio' il modo in cui l' umanita viveva nel paesaggio, iniziando i primi interventi di appropriazione, difesa, sfruttamento e insediamento stabile: i recinti.

Si e' parlato dell'aspetto psicologico della recinzione: dentro c'e' la sicurezza, il noto, la tranquillita', il perfetto (Giardino di Eden). Fuori, il selvaggio, l'incognito (il bosco nelle favole popolari).

Si e' parlato del concetto di proprieta' espresso dalla recinzione: piu' alto e' il muro piu' si pensa ci siano cose grandi dentro. Le recinzioni alte sono anche viste come minacciose dal di fuori: implicano zone che non si possono accedere, nascondono incognite, e per questo potenzialmente pericolose.

Si e' discusso del concetto di privato implicato dal recinto: intimo, chiuso quindi internalizzato, non espresso o sociale.

Si e' poi parlato dell' effetivo controllo all'interno del recinto, il paesaggio soggiogato a disegni utilitari, ma che comunque la natura (intesa come l'insieme di speci non umane che abitano l'ecosistema) si ribella continuamente al controllo.

Abbiamo concluso con una camminata lungo il confine della Fondazione e nel tragitto ci siamo soffermati ad un paio di posti dove i cinghiali hanno fatto un buco sotto la recinzione, per poter entrare nella proprieta' e sfamarsi di notte.

Questo post e' stato scritto senza andare a ri-ascoltare la registrazione dell'incontro.
Probabilmemnte ti dimentichi parti importanti, ma chi c'era lo sa', e puo' aggiungere.

Nel frattempo Valentina ti manda in un messaggio:

Recinto come conservazione e protezione
Recinto come castrazione e allontanamento

Un cucciolo di gigante nel campo della Fondazione Baruchello


La mia storia inizia sotto un piacevole sole mattutino, in un vecchio campo d’orzo(come ha giustamente specificato Diego) ormai incolto da diversi anni. Nella fitta trama verde del campo non è facile, per un dilettante come me, riconoscere le diverse specie e osservarne la crescita; sono portato a generalizzare: “è tutta erba”, ci sono alcune “margherite” e ai confini del campo alcuni “rovi”. Non so fare di meglio, mi rendo conto di non conoscere praticamente nulla di questi esseri viventi, eppure da sempre ci convivo. Cambio prospettiva, focalizzo l’attenzione sul pezzo di terra che sta davanti i miei piedi. Lo spazio che stò analizzando è grande all’incirca come un foglio di carta. Lo osservo con attenzione e scopro che ben 5 specie differenti abitano l’area, due di queste sono fiori, uno giallo e l’altro viola, c’è una pianta, che non spicca per la sua grazia, composta da ciuffi di foglie oblunghe e pelose e per giunta affetta da un qualche tipo di parassita che ne sta consumando lo stelo. Le altre due specie sono quasi uguali, ai miei occhi sono solo “fili d’erba”. È incredibile come in pochi centimetri quadrati sia riuscito a vedere tutto questo. Ma allora mi domando: quante specie abitano un campo di due ettari circa, com’è quello in cui mi trovo? Se il calcolo fosse proporzionale alle cinque che ho individuato nel mio campione, le specie sarebbero centinai di migliaglia, ma ovviamente non può essere così. Sarà stato un caso, probabilmente le stesse cinque si ripetono continuamente fino a coprire l’intera superficie del campo.

Queste mie riflessioni avvengono in contemporanea al dibattito, che il gruppo sta portando avanti, su altri aspetti del rapporto dell’uomo con le specie vegetali. Mi sono distratto, cerco di rientrare nel discorso ascoltando attentamente un intervento di Diego, che sta raccontando di aver scoperto l’esistenza di alcuni alberi nel campo. Alberi? Mi guardo intorno ma qui di alberi non se ne vede l’ombra e soprattutto da quanto so in questo campo ogni anno viene tagliata l’erba per evitare la crescita incontrollata di ogni genere di pianta. Ma quanto forza di volontà hanno questi alberi per tentare di nascere ogni volta, finendo regolarmente sotto le lame del taglia erba? Come sono fatte queste piante? Non credo di averne mai visto una.

La curiosità mi ha spinto a saperne di più, con l’aiuto di Diego siamo riusciti a dare un nome e a trovare qualche informazione su questa piccola piante, che se sarà fortunata, tra una decina d’anni sarà uno splendido albero.
Si tratta di Quercus Cerris, comunemente detto Cerro. Il suo habitat naturale è la fascia di vegetazione compresa tra i boschi collinari, dominati da roverella e carpino e le faggete montane. Sporadico in Italia settentrionale, diffuso in vaste cerrete ad alto fusto in Italia centrale e meridionale. Quando e se riuscirà a crescere sarà grande e scuro come consueto negli alberi Caducifogli. Il suo profilo sarà alto ed espanso, la corteccia brunastra, fessurata e ruvida. Le sue foglie, già ben riconoscibili, sono alterne, con margini lobati, ruvide, verde scuro e lucide sulla pagina superiore .La base è provvista di stipole. I suoi fiori saranno, se maschili, amenti cilindrici penduli lunghi fino ad 8 cm.; se femminili, singoli o in gruppi da 2 a 5, racchiusi in un involucro di squameaccrescente nel frutto e formante la cupola. Il sufrutto è un achenio (ghianda) che matura nel secondo anno dalla fioritura di forma ovatallungato (sino cm.),solitario o a gruppi di 2-4 con brevissimo peduncolo presenta una cupola con squame lunghe flessuose. Fiorisce da aprile a maggio.


Aver fatto la conoscenza di questo piccolo abitante del campo mi ha fatto riflettere su quante volte, per gioco o per errore, ho sradicato una pianta dal terreno senza farci più di tanto caso. Questa pianta, il Quercus Cerris, è un cucciolo di gigante. Se sarà fortunata e riuscirà a sopravvivere in questi primi anni di fragile vulnerabilità, un giorno sarà alta e robusta e imporrà il rispetto che oggi purtroppo non riesce ad ottenere. Non ci resta che augurargli BUONA FORTUNA!